In risposta al Tweet di C.A. Carnevale-Maffè @carloalberto, il quale constatava a distanza di 6 anni dal suo primo tweet, che nella sera in cui lo scopriva, stava “facendo esattamente la stessa cosa…” http://t.co/6nSbpKJp5z
Giovanni Boccia Artieri scrive
@gba_mm: @carloalberto Twitter come coazione a ripetere @barbarasgarzi
Mi sembra un’intuizione illuminante. Intendendola naturalmente non nel senso di un determinismo tecnologico per cui “Twitter ci induce a ripeterci” che farebbe da pendant a “Internet ci rende stupidi” ed altre amene “profondità”.
Nel senso invece che Twitter documenta la nostra incapacità ed impossibilità di non ripeterci. Twitter diviene dunque specchio dei nostri processi psichici, visibile segno del limite intrinseco della nostra libertà individuale. Che non è affatto illimitata. E non (solo) perché ostacolata, impedita da cause estrinseche (impedimenti obiettivi, libertà, volontà, aggressività altrui). Quanto piuttosto perché la nostra stessa libertà è fortemente limitata – se non addirittura – annullata dall’ineludibile necessità – inconscia – di ripetere automaticamente noi stessi. Agendo gli stessi gesti, ripensando gli stessi pensieri, rivivendo gli stessi sentimenti, ripetendo esattamente gli stessi errori. È, come si sa, quello che Freud aveva genialmente intuito e le neuroscienze sempre più confermano.
Freud interpreta infatti la coazione a ripetere, come un segno della pulsione di morte (quella che secondo lui mira a riportare la vita alla condizione inorganica). È per lui il riconoscimento, meglio l’ammissione di una demoniaca (errare humanum est, perseverare diabolicum) determinazione cui siamo implacabilmente soggetti, una sorta di entropia personale (e collettiva) contro la quale poco possiamo. È anche ciò che ci dicono oggi le neuroscienze che dimostrano sperimentalmente quanto irragionevoli ed inconsapevoli siano i nostri processi decisionali, non solo nelle scelte amorose ma anche in quelle quotidiane, professionali e persino finanziarie (Kahneman) fino al punto di domandarsi se siamo davvero responsabili delle nostre azioni. Gran parte della nostra vita psichica è inconscia, e la coscienza è solo la modesta punta dell’iceberg, la nottola di Minerva che “inizia il suo volo sul far del crepuscolo”, quando i giochi emozionali e concreti son già fatti.
Tale consapevolezza può angosciarci e la stessa prospettiva di TW come coazione a ripetere può essere inquietante, come rilevava Barbara Sgarzi nell’interazione citata
@barbarasgarzi: @gba_mm @carloalberto questo è inquietante
Ma è proprio da questa consapevolezza che ci viene il tenue margine di libertà e autonomia. “Einsicht in die Notwendigkeit” riassume molto bene lo psicanalista ungherese Zsondi: consapevolezza della necessità, della limitatezza dunque della nostra libertà e della nostra capacità decisionale. È proprio questa consapevolezza che ci consente di strappare alla coazione a ripetere manciate di responsabile autonomia senza cadere nella trappola di un impotente cinismo o di una altrettanto inconcludente illusione. Twitter ci documenta e ci ricorda, insieme all’emozionante avventura di nuove frontiere scientifiche, letterarie e umane e di impreviste affinità elettive a distanza, anche i nostri limiti e le nostre perseverazioni. Che possono però divenire anche riti di consapevole amorevolezza del vivere.
“Ancora e sempre, anche se conosciamo il paesaggio dell’amore e il piccolo cimitero coi suoi nomi che si lamentano, anche se ci atterrisce il taciturno abisso ove scompaiono gli altri: ancora e sempre usciamo in due sotto gli alberi antichi, ancora e sempre ci sdraiamo in mezzo ai fiori, di fronte al cielo”. (R. M. Rilke)
Giuliano Castigliego
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