“Se esiste un potere oscuro e ostile che immette a tradimento un filo nel nostro cuore col quale poi ci afferra e ci trascina su una via pericolosa e mortale che altrimenti non avremmo battuto… se un potere siffatto esiste, deve prendere dentro di noi la nostra stessa forma, deve anzi diventare il nostro io: soltanto così infatti possiamo crederci e concedergli quello spazio di cui ha bisogno per compiere quell’opera segreta”.
Sono forse le parole del criminologo di turno in una delle tante trasmissioni televisive che, con il pretestuoso alibi di spiegare “scientificamente” le infinite tragedie delle povere Yare o Sare, assecondano in realtà i nostri morbosi desideri aggressivi e voyeristici? No, troppo alto per essere linguaggio televisivo dell’era di amici e famosi.
Sono invece le parole che il geniale e multiforme ingegno di E.T.A. Hoffmann mette in bocca quasi duecento anni fa (1815) al personaggio di Clara nel suo racconto “l’uomo della sabbia”. La novella è fin troppo celebre. Fin troppo perché tra atmosfere gotico-romantiche, trasposizioni varie ed interpretazioni illustri rischia di esser dimenticata nello schedario dei pezzi letterari illustri ma senz’anima. E sarebbe un vero peccato. Messa in musica e danza (Coppélia, ou la Fille aux Yeux d’Email) da Léo Delibes , trasposta in un’infinità di versioni letterarie, la novella ha ricevuto la sua consacrazione psicoanalitica da Freud in persona, che nel suo famoso saggio “il perturbante” (1919) ne individua l’elemento portante nel rimosso che ritorna.
La trama, come in molte opere di Hoffmann – che di disturbi psichici doveva intendersene – non è proprio tra le più semplici. Il protagonista, il povero Nathaniel, angosciato fin dalla sua infanzia dall’amico di famiglia, avvocato/alchimista Coppelius, su cui Nathaniel proietta le parti malvagie del padre, finirà col sentirsi perseguitato durante i propri studi universitari da una sorta di doppio dell’avvocato, il venditore d’occhiali Coppola. Non basta. Nathaniel si innamorerà poi della taciturna Olimpia che si rivelerà essere nient’altro che un automa. Ripresosi da un primo episodio di follia (ora diremmo schizofrenia) vi ricadrà pienamente alla fine del racconto, cercando dapprima, per fortuna senza riuscirci, di buttare dalla torre la propria stessa fidanzata, Clara appunto, ed infine gettandosi egli stesso nel vuoto alla vista di Coppelius. (Vd per un riassunto più dettagliato della trama l’omonima voce di wikipedia).
Ha ancora qualcosa da dirci questa inquietante e tragica vicenda di quasi duecento anni or sono, ormai indissolubilmente legata all’interpretazione freudiana del perturbante, un qualcosa che, una volta familiare (heimlich) alla coscienza, le è diventato estraneo (unheimlich) attraverso il processo di rimozione ? Straordinariamente sì, se togliamo le incrostazioni un po’ gotiche della vicenda ed alcuni elementi fin troppo “geometrici” dell’interpretazione freudiana. L’uomo della sabbia innanzitutto lascia davvero turbati come ogni buon testo letterario, a maggior ragione se noir, dovrebbe fare. La novella è inoltre una miniera di suggestioni per “sentire” e capire il meccanismo della proiezione che opera in noi nelle relazioni con gli altri, quando ci innamoriamo, quando intratteniamo rapporti con le persone più care e/o con i nostri terapeuti o rispettivamente pazienti, quando agiamo su noi stessi e/o sugli altri l’aggressività. Le scissioni tra parti buone e cattive che Nathaniel opera sulle persone a lui care sono le nostre scissioni, le idealizzazioni e le svalutazioni che cerchiamo nel quotidiano di tenere ben separate per evitare il faticoso processo del confronto con la realtà esterna e con l’ambivalenza dei nostri sentimenti, che – come ci insegnava l’insospettabile Manzoni – sono sempre un “guazzabuglio”. I sistemi deliranti ed i cupi presagi, le atmosfere deliranti (le Wahnstimmungen) di Nathaniel sono quelli dei pazienti affetti da schizofrenia, paranoia e psicosi varie che incontriamo nella nostra pratica clinica quotidiana, sia essa fatta di studi privati, CPS, rumorosi reparti di psichiatria italiani o riservate cliniche psichiatriche svizzere.
L’ aggressività di Nathaniel sulla povera Clara è anche quella di alcuni maschi che riescono a sopportare accanto a sé solo il silenzio di una donna succube (come l’automa Olimpia) ma non la vitalità e l’autonomia di una donna vera ed ancor meno la forza razionale di Clara, che con quelle sue parole iniziali citate si sforza di capire e spiegare i meccanismi dell’inconscio e del male. Proprio questo intreccio tra apertura alla dimensione inconscia ed accanita ricerca di comprensione razionale della stessa, tra mistero dei nostri abissi psichici e caparbio tentativo di spiegarli è Hoffmann, che “pur mirando a trovare il segreto di un’identificazione assoluta con il ritmo della natura… svolge fino in fondo … un processo di scomposizione dell’io e della realtà, che non sembra arretrare di fronte a nessun limite” (Laura Bocci, dall’introduzione a La principessa Brambilla e Mastro Pulce di E.T.A. Hoffmann, Garzanti 1994). Per questo, anche per questo, vale mille volte la pena di leggere “L’uomo della sabbia”.
Recensione di Giuliano Castigliego