Un conflitto moderno
Cosa può avere ancora da dirci, oggi, la storia di un mercante tedesco di cavalli della metà del sedicesimo secolo? Cosa può farne un racconto assolutamente moderno, al punto che Kafka stesso lo idolatrava, fino a ricreare nel suo Il Processo (1925) lo stesso clima di oscura angoscia, in cui il protagonista viene condannato per una colpa che non ha commesso e che ignora, ma che tuttavia sente vera, lasciandosi alla fine scannare “come un cane”. Si tratta dello stesso labile confine tra innocenza e colpa, causato dal conflitto tra legge e giustizia, tra suddito e autorità, tra individuo e Stato che vive Michael Kohlhaas. Ma se da un lato questo è un conflitto classicamente tedesco e tutto interno alla Riforma – per Lutero infatti lo Stato è in sé garanzia di giustizia – dall’altro però mi sembra che esso ci riguardi molto direttamente in un momento in cui l’interesse e la difesa degli Stati sembrano sovrastare e schiacciare gli interessi dei cittadini, sempre più soggetti ad “abusi” e “soprusi” nella sostanza, anche se certo non nella forma, in tutto simili a quelli subiti da MK. Inoltre, MK è un uomo che non riesce a contenere la rabbia, che la fa esplodere nella sua forma più violenta, e anche questo, in fondo, ci riguarda molto, in un mondo in cui la rabbia maschile, apparentemente non elaborabile, conflagra spesso in forme di violenza assoluta anche privata. Ma vediamo la storia, rielabora una storia vera, quella di Hans Kohlhaase, mercante di cavalli di Cölln sulla Sprea, in Brandeburgo, che, il 1 ottobre del 1539, mentre si reca alla fiera di Lipsia, al passaggio della dogana nel territorio dello Junker von Zaschnitz non è in grado di mostrare un lasciapassare di cui non ha mai sentito parlare né è disposto a pagare un dazio che giudica ingiusto e arbitrario. Per questa ragione viene prima privato di due dei suoi cavalli e poi accusato di averli rubati. La vicenda del kleistiano Miachael Kohlhaas si innesta esattamente sulle vicende storiche, ma le narra in uno stile unico, di tensione e di pathos crescenti fino a diventare spasmodici, in cui l’assenza quasi totale della punteggiatura tedesca canonica conferisce al testo l’andatura di un galoppo teso verso l’abisso. Al primo sopruso, infatti, quello dello Junker ribattezzato qui von Tronka, segue la reazione rabbiosa di Michael, dopo che a Lipsia stabilirà che il lasciapassare richiesto non esiste affatto, ma soprattutto quando, al suo ritorno nelle terre di von Tronka, scoprirà che i suoi due bellissimi cavalli sono stati messi al tiro e quasi ridotti in punto di morte, e che il suo fedele servo, lasciato da lui a guardia degli animali, è stato malmenato e incatenato. Gli ulteriori tentativi di Michael di ottenere ascolto, se non giustizia, finiscono tutti in ulteriori vessazioni e abusi, fino all’uccisione dell’amata moglie Lisbeth. Allora Kohlhaas si trasforma in un brigante, raccoglie un gruppo di uomini, assalta il castello di von Tronka e uccide tutti i presenti. Solo von Tronka ha scampo, e lo insegue fino a Wittemberg, che viene messa a fuoco più volte. Stessa sorte tocca alla città di Lipsia, ma qui Kohlhaas ha un incontro con Martin Lutero, che gli concede un lasciapassare fino a Dresda, dove potrà ripresentare la sua istanza al tribunale. Nel frattempo però i suoi compagni si sono di nuovo radunati e compiono razzie nella campagna. La trama si complica con ulteriori vicende e personaggi, von Tronka viene alla fine condannato, ma al tempo stesso anche Kohlhaas viene condannato a morte. Ciò che tuttavia potrebbe salvarlo è una profezia di zingari, di cui è entrato in possesso per caso, che rivela il giorno esatto in cui il Principe Elettore perderà il suo regno, e il nome dell’uomo che glielo sottrarrà. Ma proprio mentre si trova sul patibolo e potrebbe ancora scampare alla decapitazione, Kohlhaas compie l’ultimo, fatale quanto ormai – nella sua corsa suicida e omicida verso la distruzione totale -inevitabile “passaggio all’atto” e ingoia la profezia, mentre il Principe Elettore, che è al corrente del fatto che essa potrebbe salvargli il regno e la vita, ha un attacco di cuore davanti alla forca, vedendola sparire per sempre nella gola di Kohlhaas.
Molti, come si vede, sono i problemi che si addensano nello spazio delle centoventi pagine del racconto: dal dovere dall’eticità e dalla moralità dello Stato, dalla possibilità della vendetta e della giustizia individuale di fronte all’assenza delle leggi o alla loro cattiva amministrazione fino al tema della rabbia, che forse riguarda più direttamente queste pagine di LetterariaMente, che esplode incontrollabile e incontenibile, facendo terra bruciata attorno a sé. Potremmo dire, allora come oggi. Il tema della violenza maschile – che a volte, anzi troppo spesso, come la cronaca ci riferisce ormai quasi ogni giorno – diventa cieca e ottusa, incapace di tenere conto degli affetti e dei doveri, per un bisogno malato di difendere la propria supremazia, che poi coincide con la propria identità, nel momento in cui qualcosa la minaccia, la mette a rischio. Un tema, quest’ultimo, su cui, mi pare, la parte maschile della società sta riflettendo troppo poco, e su cui manca qualsiasi espressione di una parola pubblica e critica da parte dei diretti interessati.
Consiglio, da germanista, la buona traduzione Feltrinelli, in cui Kohlhaas è accompagnato dal mirabile La Marchesa di Ô, credo il più straordinario racconto sul mistero del desiderio femminile.
Recensione di Laura Boccia