Cambiamento? No grazie, siamo italiani
Nel suo post “butta la casta ” Luca De Biase constata che il concetto di casta ha avuto uno straordinario successo in Italia fino a diventare un frame “un modo di vedere il mondo che accomuna molte persone”. Tuttavia tale frame non ha portato con sé il cambiamento politico che vi sembrava insito, ed anzi, ristagnando, rischia di impedire il cambiamento, poiché “non ha più molto da dire di costruttivo, mentre rischia di avere ancora molto da dire di distruttivo”.
L’attenta analisi di De Biase è assolutamente condivisibile e può essere estesa a molti altri concetti di analogo successo immediato ed altrettanto privi di forza di cambiamento. A ciascuno di noi ne viene probabilmente in mente almeno uno. A me quello di “agenda” del governo Monti che sembrava dovesse segnare una linea di demarcazione epocale tra vecchia politica e spirito civico del futuro mentre è stato ignominiosamente dismesso col suo creatore. Ci si potrebbe anzi più in generale domandare cosa renda i frame in Italia di successo ed al tempo stesso così poco trasformativi. Per avere grande successo un concetto deve fornire un interpretazione della realtà, immediata, di grande impatto emotivo, facilmente riproducibile, adattabile a molteplici situazioni, idealmente a tutte. Chi non ha sentito e almeno una volta citato la “società liquida” di Baumann? (concetto che non mi stupirei venisse adottato come motto da qualche ditta idro-sanitaria). È fin troppo evidente che questi concetti, originariamente assai significativi nel loro contesto, o addirittura geniali come quello di Baumann, subiscono poi un processo di logoramento che è tanto maggiore quanto piu ampia è la decontestualizzazione cui vengono sottoposti. Fino a non dire più nulla, come peraltro succede a tutte le parole, le immagini e le metafore degli scrittori e degli amanti, costretti appunto a reinventarle sempre nuovamente.
Ciò vale a maggior ragione in politica, in particolare in Italia. Che non a caso è il paese della moda o meglio delle mode. I concetti sembrano seguire la stessa modaiola sorte sia che rimangano semplici slogan o che diventino veri e propri frame. Un concetto (o frame) per ogni stagione. C’è ancora qualcuno che ricorda ri-montiamo l’Italia? Anche perché l’inventiva concettuale e lessicale non manca certo a noi italiani. Che spaziamo dagli operatori ecologici, ai camminatori, ai diversamente abili fino al capolavoro barocco-post-moderno dell’ agibilità politica per un pregiudicato. Due elementi – strettamente congiunti tra loro – sono poi decisivi per decidere delle sorti di un concetto ovvero di un frame nella politica,in particolare in quella italiana. La tendenza paranoica insita nel concetto stesso e la passività che essa consente alla persona che lo usa. Sulla base della prima mi è possibile dividere il mondo – ovvero l’Italia che per molti di noi è il mondo – in buoni e cattivi, avendo naturalmente cura di mettere me tra i buoni e il mio vicino/collega/avversario tra i cattivi. La passività, o meglio secondo me l’atteggiamento passivo-aggressivo , è l’ovvia conseguenza di tale premessa. Io sono la vittima di un individuo, categoria, classe, sistema, stato, universo cattivo, malvagio, perverso. E non posso farci nulla, (se non tirare a campare ed occuparmi del mio particulare). Oppure, nella variante aggressiva, posso mandare tutti a casa, o altro ed eliminare la stessa mediazione politica. Con quale successo lo sappiamo. Ciò rende a mio avviso ragione della scarsa capacità trasformativa di simili concetti e frames, che spiegano tutto e non risolvono niente – come viene rimproverato, non sempre senza ragione, ad alcune teorie psicanalitiche.
Difficilmente le rivoluzioni – vedasi da ultimo quelle arabe – mantengono a lungo termine le promesse di cambiamento da cui sono nate. Anche modesti cambiamenti individuali richiedono tempi lunghi. Ce lo dice l’esperienza di ogni giorno. Quanto tempo e fatica costa non dico smettere di fumare ma togliere dalle nostre abitudini il caffè del pomeriggio o addirittura introdurvi una mezz’ora di corsa, per non parlare di lavori e rapporti? La conferma della complessità e gradualità dei cambiamenti viene da chi si occupa di processi di trasformazione sia a livello sociale che individuale. Lasciamo pure da parte gli psicanalisti, i braudeliani della lunga durata in psicoterapia. Un modello di spiegazione del cambiamento molto noto che si propone(va) proprio come cross over, al di là dei diversi indirizzi terapeutici, è quello trans-teorico di Prochaska e Di Clemente, che postula per ogni (vabbè) cambiamento la necessaria presenza di 5 stadi : Precontemplation (Not Ready), Contemplation (Getting Ready), Preparation (Ready), Action, Maintenance, cui va aggiunto il non meno importante concetto di relapse (ricaduta) decisivo per spiegare l’eventuale ritorno ad una fase precedente.
Al di là degli aspetti tecnici, quello che più conta è che alla base del cambiamento e soprattutto delle sue prime fasi vi sono importanti processi di aumento della consapevolezza, e rivalutazione comportamentale, con parallelo senso di sollievo e di liberazione. Se tuttavia applichiamo il modello agli avvenimenti italiani è impietosamente doveroso concludere che tale consapevolezza e rivalutazione comportamentale raramente si affacciano all’orizzonte politico e che non arriviamo mai (vabbè, quasi mai) al duraturo mantenimento di un cambiamento. Ci fermiamo invece alle fasi della più o meno indignata contemplazione e/o preparazione. Il cambiamento agognato è spesso intransigente, radicale, massimalista, all’insegna del bianco/nero, molto vicino, se non coincidente con l’ideale e dunque per lo stesso motivo praticamente impossibile. L’azione, quando ci arriviamo, è quanto mai appariscente, fragorosa spesso folcloristica talvolta drammatica o meglio melodrammatica. Il cambiamento così burrascosamente avviato viene però nella maggior parte dei casi vanificato da una ricaduta nel vecchio comportamento con conseguente ritorno al punto di partenza. Gli esempi si sprecano. Uno degli ultimi e più grotteschi: Il governo tecnico del rigore di Monti e il ritorno in campo di B. con parallelo corollario di introduzione e successiva eliminazione dell’IMU. Naturalmente anche il citato modello di Prochaska , non esente da critiche, può diventare, se assolutizzato, una gabbia di pensiero. Ma proprio perché noi italiani indulgiamo ad una simpatica, fragorosa quanto incostante estemporaneità non potremmo che trar giovamento dal riferimento ad un modello che favorisce invece la riflessione consapevole, la coerenza, in definitiva la lunga durata.
Forse esiste già, ma certo sarebbe interessante l’idea di un garante che, supportato dai cittadini, sorvegliasse un processo di cambiamento tributario, sanitario, legislativo etc per 5 anni mettendone a disposizione degli stessi cittadini i dati, senza interpretazioni partitiche e relazioni di maggioranza/minoranza, perchè essi stessi ne possano correggere lacune ed errori.
Giuliano Castigliego
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