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Crisi, suicidi e superamento della vergogna

Toccato ed incalzato, come tutti, dai sempre più frequenti suicidi per motivi economici e dal recente sequestro di numerose persone da parte di un imprenditore disperato presso la sede Equitalia di Romano di Lombardia, torno sul tema ribadendo alcune riflessioni già svolte ed ampliandone altre.

Da un lato l’attenzione prestata dai media ai suicidi “per motivi economici” è certo doverosa, a maggior ragione in un momento in cui, presi dalle cifre della crisi e della spending review, rischiamo di dimenticare gli uomini e le donne di carne e di sangue che ne patiscono le conseguenze. D’altro canto la diffusione delle notizie di suicidio sui media tradizionali ed ancor più sui social media suscita interrogativi e riflessioni. I giornalisti sono certo ben consapevoli del contagio emotivo e dunque del potenziale effetto imitativo delle notizie di suicidio – denominato effetto Werther proprio a causa dell’onda di suicidi registrata in tutta Europa dopo la pubblicazione dell’opera di Goethe “I dolori del giovane Werther”, in cui il protagonista si suicida a causa di un amore infelice. La legge italiana sulla stampa, all’articolo 15, pone in tali casi precise regole in vista appunto della tutela della salute, regole che valgono anche per la televisione. Ma tutti i blogger e gli users di social media sono altrettanto informati e preparati per gestire la carica emotiva di tali notizie in un contesto caratterizzato proprio dalla ricerca del contagio, del “viral”? E quei politici che tale catena di suicidi usano o della quale forse meglio sarebbe dire abusano a scopi elettorali? Quelli che mettono ad es. i suicidi in conto a Monti, che fanno #ParagoniSantachè tra Equitalia e la mafia o che vogliono cacciare Equitalia dalla città – solo dalla loro naturalmente – , che si offrono di pagare le spese legali al disperato sequestratore di Romano lombardo?

Un’altra domanda.  Assodato che ogni crisi economica, passata o presente, i peggiori danni li produce non sul PIL ma sul tessuto sociale, sui legami familiari e sui destini personali degli individui, si può davvero stabilire una causalità lineare diretta tra l’attuale crisi economica ed i singoli suicidi cui tragicamente assistiamo? Tanto da poter per assurdo portare sul banco degli imputati per i suicidi attuali Monti, Barroso, Draghi, Lagarde, Obama, Bush e via discorrendo… Sia il buon senso che il diritto, la teoria psichiatrica e ancor di più la nostra pratica psichiatrica quotidiana ci dicono invece che nella maggior parte dei casi di suicidio, anche in quelli in cui la persona abbia lasciato chiari messaggi di addio, non è mai possibile individuare con precisione non il fattore scatenante ma le vere cause del gesto, cui contribuiscono generalmente molteplici fattori sociali e/o psicopatologici.

E ciò conduce ad un ulteriore aspetto che ad es. la dichiarazione di Di Pietro (“Monti ha sulla coscienza i suicidi di chi non ce la fa ad arrivare a fine mese” – ma altre non sono da meno) nella sua radicale semplificazione evidenzia come una cartina di tornasole. Esiste una libera volontà? Nelle parole citate sembra agire l’assunto di una automatica reazione a catena tra gravi difficoltà finanziarie, disperazione e gesto estremo del suicidio. Nessuno naturalmente vuole contestare l’influenza negativa delle ristrettezze economiche, soprattutto se improvvise, sulla psiche. Ma nel meccanicistico assunto sopra citato sembrano non trovar spazio né il disturbo psichico né la libertà. Tra l’incertezza finanziaria e la morte volontaria vi è infatti un più o meno breve ma sempre drammatico sviluppo, spesso depressivo, corredato o meno da altri disturbi psichici, che spesso può essere intercettato ed efficacemente combattuto da medici di base, psichiatri e psicoterapeuti, oltre che da familiari ed amici. La rassegnazione alla disperazione anche nei casi più tragici non è, a mio avviso, mai obbligata, a maggior ragione in un paese come il nostro che può ancora contare su significative reti familiari e sociali ed è impregnato, nel bene e nel male, di una cultura fortemente avversa al suicidio, il cui tasso è per fortuna ancora basso se paragonato con quello dei paesi centro- e nordeuropei.

È forse possibile allora formulare anche qualche indicazione e qualche proposta per non lasciarsi prendere da un lato dal giacobinismo emotivo ma nemmeno assistere impotenti a questa tragedia.

La prima indicazione è già stata formulata nel bellissimo articolo di Dario di Vico sul Corriere della Sera del 4 maggio “Tanti urlatori ma è saltata ogni solidarietà”. Di fronte alla ” rete di rapporti che si sta smagliando e che nessuno sembra avere la forza e la pazienza di rammendare” l’articolista invita a fare “i sarti”, a dedicare tempo e parte del potere “per ascoltare, avanzare proposte sensate e soprattutto ricucire i legami che si sono allentati, le solidarietà che sono saltate. … per ricostruire quel rispetto reciproco che manca”.

Credo inoltre che sia compito soprattutto di noi psichiatri, psicologi e psicoterapeuti ma anche dei medici di medicina generale, assistenti sociali ed infermieri illustrare meglio anche le possibilità e l’articolazione del sostegno dei soggetti a rischio, che va dagli aiuti finanziari (di tante benemerite cooperative ed istituzioni) e sociali, al supporto affettivo, alla terapia farmacologica e psicologica fino, nei casi più gravi, al ricovero ospedaliero. Si tratta di prendersi cura dell’individuo, aiutarlo a sentirsi correttamente percepito ed accettato nella sua disperazione, a superare sentimenti di vergogna che lo isolano ed a sviluppare invece nuovi sentimenti e legami di appartenenza ad un gruppo e soprattutto assisterlo con rispetto nel suo tanto difficile quanto necessario tentativo di dare senso alla sua drammatica vicenda per poter riannodare il delicato filo della propria esistenza.

Il più efficace trattamento ed il più appassionato prendersi cura della persona finanziariamente e psicologicamente bisognosa devono tuttavia anch’essi far i conti con quella libera volontà di cui parlavo prima. Ognuno di noi ha come sua ultima possibilità di scelta quella della morte. Una scelta che proviene dalla nostra libertà e che, indipendentemente dalle nostre personali convinzioni professionali, etiche e religiose, va rispettata. La speranza di ognuno di noi è però, credo, di non doversi mai trovare in un simile dilemma e, se vi dovessimo entrare, di aver la forza di chiedere aiuto per uscirne. La dignità, spesso invocata nei drammatici messaggi d’addio di alcuni suicidi, cela forse un inflessibile  sentimento di vergogna, che purtroppo rischia di isolare, opprimere ed annientare. La vergogna, che può  essere la forma di rispetto più elevato. (Goethe, Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister), può però divenire anche un tiranno crudele che tutto in noi svaluta e disprezza (Wurmser, La maschera della vergogna).

È forse il nostro più difficile compito in questi drammatici momenti di crisi aiutare noi stessi ed il nostro vicino a superare l’insidioso muro della vergogna per aprirsi ad una concreta speranza di solidarietà.

Giuliano Castigliego

 

 

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