Il viaggio come cura dell’anima
Diario di viaggi
“Il viaggio è la metafora per eccellenza della vita” scrive Claudio Magris le cui riflessioni sul viaggio sono state non a caso proposte quest’anno come tema alla maturità. Ma cos’è il viaggio? Cosa lo rende tale, distinguendolo dal semplice spostamento? Ci sono caratteristiche che differenziano i viaggi al Nord da quelli verso il Sud? In che misura i viaggi sono incontri con gli altri e in che misura con noi stessi? e soprattutto quando un viaggio diviene terapeutico, una cura dell’anima? In un non proprio mondano paese della bassa bresciana, Lograto, in una – finalmente – calda serata d’inizio giugno, mentre dal parco della villa comunale partiva un’affollata gara podistica, noi di uma.na.mente insieme a tanti partecipi ascoltatori abbiamo lasciato le affrescate stanze settecentesche di Villa Morando e ci siamo messi in viaggio. Con due scrittrici, due romanzi, una traduttrice-scrittrice ed un giornalista. Abbiamo navigato nel mondo dei protagonisti, Giuliano e Anna, e naturalmente anche dentro noi stessi, lasciando – per un momento – le sicurezze noiose di ciò che ci è noto all’inseguimento del minaccioso e proprio per questo così affascinante ignoto. Prima c’eran però da definire le coordinate del luogo di partenza dunque anche della nostra identità. Lo ha fatto un Tonino Zana in gran forma che ha ricordato le radici sociali e culturali di un paese, Lograto, cui è riuscito, grazie anche all’intelligenza di sindaci lungimiranti, un viaggio nella buona amministrazione così da fare di Villa Morando, anziché un’ occasione di speculazione, il centro vivo e partecipe di una comunità. Tonino ha poi segnato la rotta dei due viaggi letterari umani e storico-geografici insieme.
Dapprima quello di Melitta Breznik e della protagonista, Anna, del suo romanzo “Aurora boreale”. “Anna, che, come l’autrice, proviene dalla Stiria e lavora come psichiatra in Svizzera, decide di prendere, al culmine della sua crisi esistenziale, una decisione radicale. Dopo essersi scrollata di dosso il marito innamorato di sè stesso e un matrimonio irrimediabilmente incartato, si ritira durante i mesi invernali in una baita nelle isole Lofoten in Norvegia, una sorta di base terapeutica con lo scopo di trovarsi. È la più radicale ascesi nella solitudine. Di più ancora: l’ossessivo avvolgersi nell’oscurità come premessa per giungere alla soluzione del conflitto” (dalla recensione di Pia Reinache, Frankfurter Allgemeine, Feuilleton, del 28.08.2009, traduzione mia). Melitta Breznik ci dirà nel corso dell’incontro di essere stata ella stessa a 16 anni per un soggiorno di studio in Norvegia incantata da quella luce e di ritenere il volontario isolamento di Anna nell’ oscurità dell’aurora boreale norvegese come una possibile, plausibile, anche se certo singolare cura del burn-out. Ma Anna è alla ricerca, oltre che di sè stessa, anche del proprio padre. Ha portato con sé infatti i taccuini che suo padre aveva scritto ed illustrato durante sua permanenza alle isole Lofoten nel corso la seconda guerra mondiale. Cercando il padre, Anna si imbatterà nella storia di quelle persone nate dall’unione di soldati tedeschi e di donne norvegesi che hanno rappresentato a lungo l’onta nazionale e sono state per questo poste al margine della società norvegese. Entrano così prepotentemente in scena nel romanzo le atrocità del nazismo, che tanto hanno segnato la storia familiare della stessa autrice. Anna incontrerà sull’isola una donna con cui sentirà un’inspiegabile affinità e quell’incontro, insieme ad altri, l’aiuterà a ritrovare, con le proprie radici, anche sé stessa. “Il quotidiano svizzero NZZ ha scritto “non si è una persona migliore dopo aver letto Melitta Breznik ma si sente in modo più profondo, si guarda in modo più chiaro, si pensa più lucidamente. Cosa si vuole di più dalla letteratura?” (dalla recensione di Stefan Gmünder, Tenerezza e dolore, ALBUM – DER STANDARD, 04./05.07.2009, traduzione mia)
Anche per me il dibattito del 7 giugno è stato incontro, viaggio, partenza ed arrivo insieme. Da Lograto sono partito quasi vent’anni fa per un Nord molto più vicino, quello della Svizzera, alla ricerca dell’amore ed in fuga da conflitti che era più facile portare con sé oltreconfine che risolvere. Ed in Svizzera ho continuato a viaggiare prima in Canton Grigioni tra diversi servizi ambulatoriali, tra diverse mentalità, lingue e culture in una Clinica che sembrava uno spaccato d’Europa, dell’Ovest e dell’Est, ricca e povera, poi in un Canton Ticino, illusione d’Italia, quindi a Coira dove tuttora risiedo ed esercito. Proprio alla conclusione della mia attività di aiuto in clinica ho conosciuto la dottoressa Melitta Breznik, prima come psichiatra, mio successore in Clinica, e poi come amica e scrittrice – autrice anche di Nachtdienst, Figuren, tradotto in italiano con il titolo La casa, Umstellformat, in cui racconta il proprio viaggio, in compagnia della madre, tra le cliniche tedesche, per raccogliere la documentazione della nonna, affetta da un grave disturbo psichico e per questo soppressa dal programma di eugenetica nazista. D’altro canto “parole chiave come violenza, anche familiare, esecuzione di uomini da parte di altri uomini, memorie che non vogliono scomparire, ma anche empatia e mitezza si snodano come un “filo rosso” per tutta la sua opera” (dalla recensione di Stefan Gmünder, ibidem)
Come dice Tonino, non riesco però a stare troppo lontano dalla bassa. Una sorta di, spero operosa, nostalgia mi sospinge, quella stessa nostalgia che come “malattia” è stata descritta per la prima volta dagli svizzeri all’estero. La nostalgia appunto mi prende e mi porta a “migrare” periodicamente tra montagne grigionesi e pianura bresciana. Per visitare prima di tutto mia madre “or sol, suo dì tardo traendo” cosa che peraltro fa con la stessa orgogliosa accuratezza e generosa disponibilità di sempre. Ma anche per riprendere i contatti con i colleghi/e di un tempo e curarne di nuovi, coltivar amicizie, riprenderne altre stoltamente trascurate. Sono i momenti in cui, all’Arci dalla Ljuba a prendere il Sanbitter con Angelo, ci si rivede negli altri come si era, o come si immagina di essere stati. Tornano alla mente i sogni, le delusioni, le speranze e gli affanni, i viaggi che si son fatti e quelli che non si ha avuto il coraggio di fare. Ci si illude di condividere con l’aperitivo anche la vita del paese, nostalgicamente consapevoli che né si può né si vuole ritornare. Nelle cene dell’oggi si mescolano i ricordi dei successi ed i fiaschi di ieri, le emozioni e le prime passioni, la delusione della politica di oggi così diversa e così uguale a quella di allora. Da queste cene e questi incontri, umani e professionali insieme, – con la comprensiva ironia di Mauro, l’elegante razionalità di Lucia, la competente esperienza di Pino, la grandezza modesta di Luigi, l’entusiasmo non solo informatico di Edoardo, l’amabile profondità di Rosa, la travolgente simpatia di Angelo, la dirigenziale professionalità di Francesco, la gentile saggezza di Anna, la competente precisione di Claudio e l’apporto di tanti altri, è nata uma.na.mente un’associazione che non a caso si propone, di superare frontiere tra discipline, specializzazioni orientamenti, addiruttura di integrare scienze umane e naturali, insomma di viaggiare al confine tra proprio e straniero.
In occasione del primo della serie di incontri che uma.na.mente ha organizzato, non a caso sul tema del dolore, spesso generatore, come la gioia, di viaggi significativi, ebbi occasione di conoscere Laura Bocci. Avevo letto il suo romanzo d’esordio Sensibile al dolore – che tra l’altro inizia con un viaggio, in treno – ne ero rimasto molto toccato e l’avevo invitata a partecipare al dibattito sul dolore (2007) insieme ai professori Martignoni ed Ermentini – con la straordinaria introduzione su parole e sofferenza di Luigi, troppo amico per chiamarlo il Prof. Tonoli. Ne era scaturita una riuscita serata e ne è nata un’amicizia che mi ha consentito di conoscere tante altre qualità letterarie ed umane di Laura, la cui vita è pure segnata dal viaggio. Il viaggio innanzitutto come traduttrice letteraria nelle altre lingue e culture, francese, inglese e sopratutto tedesca, di cui Laura ha tradotto i principali autori, e tra gli altri il mio amato Hoffmann. Ma anche il viaggio geografico in altri paesi mediterranei e mitteleuropei. Dalle sue esperienze esistenziali e professionali collegate all’incontro con l’estraneità affascinante e minacciosa dell’altro e dalle sue profonde ed originali riflessioni sulla traduzione nasce il suo splendido Di seconda mano: né un saggio, né un racconto sul tradurre letteratura. Un viaggio affascinante, ironico, colorato, profondo ed appassionato nell’impossibile impresa del tradurre – che Laura descrive come “quasi un attraversamento a piedi dello spazio fisico del testo, con le sue valli, le sue pianure e le sue montagne” – nonché nella vita non meno affascinante e colorata di una traduttrice. Da un viaggio vero, di cui Laura ci ha narrato in quella calda serata di giugno a Lograto, e da tanti altri viaggi reali e fantastici che si sono svolti dentro di lei è nato il suo secondo romanzo, La seconda India, appunto. Il suo protagonista, un 47enne che dalla vita sembra in costante fuga, lascia dietro di sè un padre prepotente, una madre imbelle ed impotente, un Italia deludente, per un assai tardivo ed improbabile dottorato di ricerca in India. Ma Giuliano – questo il nome del protagonista – porta con sè oltre alla sua sensibile cultura, non pochi problemi, a partire da un’impotenza che gli ha fin’ora precluso il rapporto con le donne. In un’India che gli mette sotto gli occhi tutte le possibili forme della vita “con tutto il nuovo, l’inatteso, l’inimmaginabile, con tutto il troppo che le è proprio” Giuliano compie un’infinità di viaggi. Nella meraviglia vitale e nella violenza discriminatoria della società e della cultura indiana, nella bellezza, così come nella miseria degli “ammassi umani di ogni dimensione” distesi per le strade. Nel proprio inconscio “per riflettere sulla propria storia, sul proprio malessere”, assistito addirittura dal saggio psicanalitico di Kernberg Relazioni d’amore. Normalità e patologia” che Giuliano porta con sé. Nella medicina indiana e nei suoi non sempre appetibili rimedi ayurvedici. Nelle regioni meridionali dell’India alla ricerca di un fantasma d’amore e di esperienze meno alienanti di vita comunitaria delle donne e dei più umili. In bicicletta tra le strade di una Calcutta resa irrespirabile dallo smog della globalizzazione solo illusoriamente liberatoria. Un altro viaggio si potrebbe dire avviene proprio all’interno dei contraddittori e tragici risultati del tumultuoso sviluppo economico indiano cui Laura dedica pagine “descrittive ed informative, spesso meticolose” che contribuiscono anche ” a raffreddare – come nota La Porta nella sua recensione sul Domenicale del Sole 24ore – la passione del protagonista”. “La Seconda India è anche la storia dei viaggi che sono necessari all’anima di Giuliano per salire aul suo viso ma pure per scendere a rendere vitale quel suo organo sessuale che si ritrae davanti al rapporto”. Ma prima che questo possa accadere è necessario che Giuliano capisca ed ammetta di aver “paura del proprio desiderio. Paura di soddisfarlo, ma ancor prima di riconoscerlo, di ammettere la propria dipendenza dall’altro/a, di riconoscere e superare l’illusione dell’autosufficienza”. Non è certo un caso che per fare questi passi “Giuliano passi attraverso il dolore, psichico e fisico”.
E qui i destini di Giuliano ed Anna, così lontani ed antitetici, sembrano nuovamente intrecciarsi.
Perché, come dice Rilke nello splendido passo di una sua lettera a Kappus, “le nostre tristezze sono gli attimi nei quali il nuovo, qualcosa di sconosciuto, è entrato in noi” e dunque “più silenziosi, pazienti ed aperti siamo da tristi, più profondamente e saldamente entra il nuovo in noi, meglio lo acquisiamo e maggiormente esso sarà il nostro destino”. Anna si abbandona all’oscurità della depressione e dell’aurora boreale e ritrova sè stessa, la propria identità e la propria storia familiare all’arrivo di una timida primavera nordica. Giuliano accetta di arrendersi all’ amore e al dolore e proprio in un Paese come l’India “che sembra invece destinato ad alimentare il nostro immaginario più fiabesco e onirico”, “scopre la realtà – sempre sorprendente, misteriosa al contrario dei nostri sogni – e l’Altro” (La Porta, ibidem).
Se i viaggi di Anna e Giuliano si sono (forse) conclusi, i nostri “come esperienza dell’errare e del sostare, della capacità e dell’incapacità di incontrare gli altri, come scoperta e avventura, come incontro o come fuga” (Magris) proseguono. Tonino è ripartito per la sua Orzinuovi ed il “suo” Giornale di Brescia. Anna Ruchat, la traduttrice dei testi di Melitta, lei stessa scrittrice (Volo in ombra), svizzera residente in Italia, tornerà a dividersi tra Pavia, l’insegnamento alla scuola di traduzione di Milano e Riva S. Vitale. Melitta e Laura, per una mezza giornata insieme con me e Giulio (il Prof. Ferroni) a passeggio per le antiche belle piazze del centro di Brescia, sono ripartite una per la riservata Basilea, l’altra per la magniloquente Roma. Io continuo a migrare. Status viatoris.
Giuliano Castigliego
Links
Laura Bocci
Laura Bocci, blog
La Seconda India, Manni Ed., Le recensioni del romanzo
La Seconda India, la mia presentazione
Melitta Breznik
http://de.m.wikipedia.org/wiki/Melitta_Breznik
Melitta Breznik , italiano
Anna Ruchat
Volo in ombra
Tonino Zana
Tonino Zana
Rispondi