Grillo impedisce ai “suoi” grillini (più correttamente da indicare, secondo la loro terminologia, come attivisti del movimento 5 stelle) di andare a parlare in TV, mentre lui scrive sul suo, senza virgolette, blog. Formigoni e Briatore parlano anche troppo in TV mandando a quel paese o peggio i loro interlocutori. Il premio Nobel Dario Fò, che della parola parlata – e non censurata – ha fatto la sua arte, dà ragione a Grillo, che vieta la parola a fini comunicativi.
Prodigi e misteri della comunicazione di fronte ai quali un modesto psichiatra e psicoterapeuta di provincia, che sulla parola fonda il proprio perturbante (per gli altri ma anche per sé) mestiere, non può che interrogarsi stupito. Lo stupore cerca di farsi riflessione collegando, con associazione forse impropria ma certo suggestiva, le parole politiche – pronunciate o negate – ad un paio di notizie delle scorse settimane. I genitori di Vittorio Sgarbi, che ha avuto un incidente automobistico – in cui è anche rimasto gravemente ferito il suo conducente – hanno querelato Olivieri Toscani, reo di aver augurato la morte al loro figlio. Il padre di un giovane dottorando morto suicida ha querelato il ministro Fornero per l’aggettivo “choosy”, da lei usato ad indicare la presunta ed ampiamente (anche da Banca d’Italia) smentita schizzinosità dei giovani italiani a scegliere il lavoro.
Nel doveroso rispetto di un avvenimento così tragico e di un altro pure grave, mi sembra che il significato attribuito alle parole in tali drammatici eventi tradisca i pensieri e soprattutto gli affetti che, come aveva genialmente intuito Freud, operano dietro le parole stesse. È quella che Freud in “Totem e Tabù” chiama, prendono a prestito il termine da un suo paziente “onnipotenza dei pensieri”, il principio cioè che, a detta di Freud, “regge la magia, la tecnica del modo di pensare animistico” e “si presenta con la massima chiarezza nella nevrosi ossessiva”. Sulla base di tale “onnipotenza dei pensieri”, che avvicina il nevrotico al “selvaggio”, ciò che “è pensato intensamente” e “rappresentato affettivamente” è più importante della stessa realtà, anzi diventa la realtà stessa. Per cui il citato paziente “se lanciava ad un estraneo una maledizione, senza far sul serio, poteva aspettarsi che questi morisse poco dopo ed egli si sentisse responsabile per la sua morte”. (Freud Sigmund, Totem e Tabù, 1912-13, Bollati Boringhieri 1969, Torino). Come non vedere qui l’analogia con il caso di Sgarbi? salvo il fatto che nel caso in questione non è Toscani a sentirsi responsabile ma i genitori di Sgarbi a ritenerlo in fin dei conti tale. Freud interpreta l’onnipotenza dei pensieri in senso evoluzionistico come espressione di quell’onnipotenza che l’uomo ingenuamente attribuiva a se stesso nella fase animistica, per poi delegarla agli dei in quella religiosa ed infine doverla riconoscere come illusoria nell’attuale epoca scientifica. “Nondimeno – annota Freud – un frammento della primitiva fede nell’onnipotenza sopravvive nella fiducia che egli ripone nello spirito umano, il quale si cimenta con le leggi della realtà”. In tale convinzione animistica – che inconsciamente talvolta opera con maggior o minor vigore in ciascuno di noi – la parola stessa assume significato e valenza magica e chi la pronuncia si ritiene o è ritenuto responsabile dei presunti effetti – positivi o più spesso negativi – che essa incarna.
In un’epoca ultrasecolarizzata, postmoderna e digitale, in cui le parole si affollano in un enorme surplus di informazione che rende problematica la stessa distinzione tra utile e futile, sensato ed insensato, continuano a persistere sacche di pensiero magico. Tale per cui una parola, una frase, soprattutto se pronunciate, per di più pubblicamente, hanno conseguenze reali e concrete sulla realtà, su cui incidono con la potenza degli affetti che si presume tali parole o frasi abbiano generato. Ciò vale per la frase di Toscani e l’aggettivo della Fornero, nel comprensibile contesto della preoccupazione di due genitori anziani e soprattutto di un padre straziato dalla morte del figlio.
Ma la stessa convinzione magica sembra valere, al di là di sofisticate strategie comunicative, anche nel mondo, quasi religiosamente devoto, del movimento 5 stelle. Qui la parola viene negata agli adepti, pardon agli attivisti, perché possa dispiegare tutta la sua magica potenza nella voce del leader, guarda caso indicato come “megafono” dalla stessa terminologia del movimento. Chi la confonda e la contamini con quella degli altri, non aderenti, (infedeli?) nella babele dei talk-show televisivi viene tenuto a debita distanza e bollato come apostata e, quando è femmina, pure come impura p. Che poi un grande artista, che la censura l’ha giustamente criticata ed ingiustamente subita, legittimi il divieto è una di quelle nemesi storiche che ci ricorda – se ce ne fosse bisogno – come siamo fragili noi umani e quanto potere abbia in noi il contagio emotivo. Paradossalmente più evolute, quasi dell’età della pietra, sono le frasi volgari e aggressive di Formigoni e Briatore. Nelle loro parole c’è ben poca onnipotenza del pensiero o della parola, solo la maleducata arroganza del potere, pubblico o privato che sia, che vuole gli altri docili servitori e minaccia botte, senza alcun senso di colpa, se l’interlocutore alza la testa.
Giuliano Castigliego
Image Credits: diff_linguaggio.jpg fondazioneniccolocusano.it IL POTERE DELLA PAROLA, NEL CERVELLO UN CENTRO
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