Una mattina di dicembre mentre passeggiavo per una stradina di campagna con Thierry mi sono imbattuto in un pensiero. Stava invisibile ad aspettarmi ad un bivio. “Fai una pausa con Twitter!” mi sussurrò. Feci intuitivamente mio il suggerimento, scattai una fotografia al cielo dei Grigioni, – pure bello quando è bello – aggiunsi qualche parola all’immagine e cominciai la mia Twitter-pausa. Lo feci con quella modestia che tradisce l’orgoglio di aver preso chissà quale originale decisione. Vedevo con piacere gli affettuosi saluti di amici/che, notavo sempre più intensamente nei giorni successivi la mancanza di interazioni, ne sentivo l’intensa nostalgia ed una sorta di sollievo insieme. Constatavo con dispiaciuta ovvietà che anche quell’infinitesimale punto di TW di cui mi consideravo parte continuava a girare perfettamente senza di me. Ero al tempo stesso sollevato di avere qualche minuto in più per far fronte a quel mare di impegni familiari e soprattutto lavorativi in cui mi sembrava di nuotare e talvolta di affogare.
Pochi giorni dopo un breve spostamento interruppe il mio piuttosto monotono ritmo lavorativo. Nonostante dieci ore di percorso e otto cambi scelsi di viaggiare in treno, il mezzo di trasporto che preferisco e che riesce a trasmettermi più intensamente lo spostamento dentro e fuori di me. Incapace tuttavia di stare da solo con me stesso, presi per compagni un paio di libri. Il saggio rimase in borsa, Norwegian Wood sotto i miei occhi. Rividi mia madre, parenti e luoghi che non vedevo da tempo. Il sole di dicembre splendeva nel blu del cielo e del lago. Cominciai a viaggiare, dentro di me, a ritroso nel tempo, in compagnia di Watanabe, Naoko, Midori ma anche di Dick, Nicole e di mille altre persone e personaggi. Scesi dal treno ma continuai a viaggiare. In un quotidiano dalla superficie liscia ed ordinata ma agitato da correnti sotterranee da cui mi sentivo trascinato. Potevo solo sperare, nuotando nella direzione della corrente, di arrivare presto ad acque più tranquille. A turbarmi non era solo il senso di insufficienza che conosco fin troppo bene e col quale, grazie all’analisi ed anche alla pellicola professionale di rivestimento, ho concluso una sorta di accettabile armistizio. Mi sentivo piuttosto senza pelle, di fronte a me stesso ed agli altri, pazienti compresi. E qualche lacrima in seduta ne è stata il segno. Ho finalmente realizzato che la decisione di fare un’interruzione con Twitter e con tutto ciò che potevo interrompere non l’avevo presa io ma una sorta di freno a mano automatico dentro di me, che io avevo tutt’al più intuitivamente – per fortuna – assecondato. Contando i giorni e le ore sono in qualche modo arrivato, il 20 dicembre, alle mai tanto agognate ferie.
Sono stato con la mia famiglia per qualche giorno via, per la prima volta senza Thierry. La moltitudine e la vita pulsante di una metropoli mi hanno strappato alla mia angusta prospettiva, il tempo e la bellezza riaperto varchi in corazze d’abitudine, la quiete dei parchi è stata salutare vuoto, le meraviglie d’arte impagabile arricchimento. Una messa – anglicana – di Natale mi ha toccato il cuore, le contraddizioni di una grande città riaperto domande mai sedate. Al ritorno la gioia di Thierry ci ha travolto, la sua gratitudine di salti scomposti ed interminabili leccate commosso nel più profondo. Nonostante la festosità di fine/inizio anno il quotidiano sta riprendendo posto, con le sue difficoltà ed ambivalenze. Sono di nuovo su Twitter – e ringrazio tutti quelli che mi hanno salutato, pazientemente aspettato o hanno addirittura cominciato a seguirmi durante il mio silenzio – cosa dedurne? ;)
L’interruzione (di Twitter, del lavoro, del quotidiano, delle abitudini indiscusse, del tempo e dei riti del profano a favore del sacro, …), forse accadutami più che consapevolmente scelta, ha comunque fatto intravvedere a me, ligio e spesso acritico testimone della continuità, la forza della cesura. La forza di interrompere almeno temporaneamente programmi d’ingombro alla vita stessa, abitudini fossilizzate, realizzazioni fatte di soli pieni. La forza di consentire l’interruzione, di ammettere il vuoto, di aprire uno spazio al presente, alla vita. Fino a quando?
Giuliano Castigliego
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