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La folla: chi?

folla manzoniana

É cambiata la folla? Le folle attuali sono diverse da quelle cui Manzoni  dedica nei suoi Promessi Sposi un’attenzione assolutamente nuova ed innovativa nella letteratura italiana? E quello che il Manzoni racconta della folla vale ancora oggi?

Alla prima domanda è fin troppo facile rispondere di sì. 

La folla del romanzo manzoniano, ambientato nel 600, risente tuttavia della rivoluzione francese, che il Manzoni ha alle spalle. È una classe che ha da poco fatto irruzione sulla scena politica e comincia ad intuire le proprie potenzialità. La folla attuale arriva dopo i massacri del secolo delle ideologie di massa, guarda con scetticismo post-moderno alle utopie sociali ad eccezione forse di quella tecnologica ed è abbacinata piuttosto da un narcisismo individualista. 

Manzoni – che #TwSposi ci offre l’occasione di rileggere e riscrivere – pur se, o forse proprio perché imbevuto di illuminismo e con gli eccessi della Rivoluzione francese alle spalle, diffida della folla. Forse, come chiede @TwLuciaM, Manzoni ha addirittura “poca simpatia per il popolo che protesta”.

@TwLuciaM: @manzoni_ale ma  Voi avete poca simpatia per il popolo che protesta o sfiducia nella politica?  #twsposi/14

Probabilmente Manzoni, che fa della folla  un’ indiscussa protagonista del romanzo, mantiene nei suoi confronti una sorta di aristocratico distacco come il marchese, successore di Don Rodrigo, capace di servire a tavola Renzo e Lucia ma non di mangiare con loro allo stesso tavolo „v’ho detto ch’era umile, non già che fosse un portento d’umiltà. N’aveva quanta ne bisognava per mettersi al di sotto di quella buona gente, ma non per istar loro in pari.“

Le categorie cui fa riferimento Manzoni per comprendere la folla sono ancora quelle morali, individualmente elaborate, di bene e male. „Ne’ tumulti popolari c’è sempre un certo numero d’uomini che, o per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro, fanno di tutto per ispinger le cose al peggio;“…  „Ma per contrappeso, c’è sempre anche un certo numero d’altri uomini che, con pari ardore e con insistenza pari, s’adoprano per produr l’effetto contrario: taluni mossi da amicizia o da parzialità per le persone minacciate; altri senz’altro impulso che d’un pio e spontaneo orrore del sangue e de’ fatti atroci….Il cielo li benedica.“ (Cap. XIII). La folla è per il cattolico-liberale Manzoni „ il materiale del tumulto,…un miscuglio accidentale d’uomini, che, più o meno, per gradazioni indefinite, tengono dell’uno e dell’altro estremo:“…  “un corpaccio” che „ognuna delle due parti attive” cerca di tirare a sè „avendo [la massa] la maggior forza,“. (Cap. XIII). Cercheremmo invano nelle parole Manzoni  l’inconscio individuale o collettivo ed anche l’inconscia fuga dalla libertà di Fromm, secondo il quale  “il nostro primo atto di disobbedienza ci è costato la perdita del paradiso e del legame armonioso col Padre ma è stato l’avvio  della nostra consapevole  autonomia  (“L’atto di disobbedienza, in quanto atto di libertà, è l’inizio della ragione” E. Fromm, op. cit.)” indissolubilmente legata però ad una condizione di solitudine, smarrimento ed angoscia,divenuta cifra non a caso della modernità.

@GiovannaGioja: “L’atto di disobbedienza, in quanto atto di libertà, è l’inizio della ragione.”(E.Fromm) Sorprendente @Tw_Renzo!  #TwSposi/14

Foto tratta dall'account TW @ChrisGervasoni 

Ma perché cercare nei Promessi Sposi – così come in qualsiasi altra opera – qualcosa che non c’è anziché meravigliarsi e godere di quello che c’è? ci chiedeva sempre il nostro indimenticabile professore di italiano al liceo?

Nei promessi sposi vi è certamente una rappresentazione ironica e moderna del potere, della sua doppiezza morale e linguistica, dei suoi arbitri perpetrati con la violenza, l’arroganza ma anche ed ancor peggio con la perfida, felpata amabilità di un padre, di un superiore, di una monaca. Non è certo difficile identificarsi con gli umili del romanzo e di oggi e riconoscere le similitudini con le angherie,  i soprusi,  i crimini (#PresaDiretta)  attuali di uno Stato, ma anche di una nazione e di un intero sistema ancora forte con i deboli e debole con i forti, ove le leggi vengono applicate ai nemici ed interpretate per gli amici.

Forse è tuttavia ancor più stimolante riconoscere in noi la folla manzoniana, vedere noi stessi come quegli „attori, spettatori, strumenti, ostacoli, secondo il vento“ assai poco capaci di riflessione critica autonoma e quanto mai facili invece al contagio emotivo ed al preconcetto schieramento di parte, “bisognosi di gridare, d’applaudire a qualcheduno, o d’urlargli dietro.“ Anche se disponiamo di sofisticati concetti di inconscio individuale, collettivo, familiare, transgenerazionale, questo non ci sottre certo al rischio di un “conformismo da automi” (Fromm) favorito da una società in cui l’autorità viene sostituita dal prestigio sociale (sia esso misurato in termini finanziari o di n. di follower)”. Se pur non usiamo più le espressioni della folla manzoniana “viva e moia” – per quanto svariati recenti episodi fanno legittimamente dubitare anche di questo –  i concetti sottostanti più o meno forbitamente aggettivati sono prassi quotidiana. E nessun ambito ne è escluso. Dal dibattito politico che degenera in rissa, alle manifestazioni represse nel sangue, agli scontri sociali che esitano in violenza, agli insulti televisivi alle minacce di morte in rete e sui social Network per questioni che non ho il coraggio di chiamare scientifiche. Ove il problema non sono chiaramente la rabbia – al cui significato evoluzionistico dedica un bell’articolo Pani su www.ilsole24ore.com/domenica  di ieri – il conflitto, il doveroso dissenso  organizzato socialmente e/o politicamente ma la mancanza di un setting sociale, giuridico e politico adeguato per contenere ed organizzare proficuamente il conflitto, che diviene pertanto distruttivo.

Una delle più straordinarie caratteristiche del setting, direi quasi dell’holding manzoniano – che Don Lisander mi perdoni! – è l’ironia. Un’ironia che non distrugge con il difetto anche l’uomo, ma creando un’inaspettata cesura nella narrazione rileva, evidenzia, chiarifica la stortura e ci costringe discretamente e rispettosamente a confrontarci con il ramo storto che è dentro ognuno di noi.

Angela

Angela Nova (@Circegea10)
L’intellettuale. .. pic.twitter.com/YooiPEDTsM

 

Forse anche di questa manzoniana ironia abbiamo bisogno oggi per contrastare il facile sarcasmo e il conformismo da automi (di assenso o dissenso non fa grande differenza) che anche nella nostra società digitale è sempre in agguato. Certo uno – come me – l’ironia non se la può dare ma almeno prenderla a prestito dagli studenti e dagli altri 25 lettori di #TwSposi. E prestito per prestito, per far da giusto contrappeso alla folla, prenderei volentieri anche le riflessioni di Luca De Biase sul nuovo intellettuale della “terza cultura” e il nuovo potere  Ove l’ironia scaturisce qui dal confronto tra le splendide parole di De Biase sul metodo dell’intellettuale ed il, come dire, un poco più opaco contesto culturale italiano

 “Il metodo di lavoro dell’intellettuale, fattuale, empirico, aperto, criticamente indipendente, capace di teorizzazione, verifica, sperimentazione, è il nuovo baluardo della sua indipendenza: non è un muro che lo separa dagli altri, è una rete di relazioni e valutazioni peer-to-peer, è una condivisione di percorsi non necessariamente definiti da linee disciplinari. La narrazione del metodo, la sua incarnazione in piattaforme culturali, la sua comunicazione, costituiscono i modi attraverso i quali il metodo della ricerca intellettuale si diffonde e cerca consenso”.

Sono certo che non lo ammetterà neanche sotto tortura ma è fin troppo evidente che per queste sue parole alate sul metodo dell’intellettuale De Biase si è ispirato pure lui e certo senza copyright a un personaggio del Manzoni, purtroppo scomparso dal mondo accademico italiano: ma certo, Don Ferrante!

Giuliano Castigliego

 

 

 

 

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